La terra dell'Abbondanza di Wim Wenders

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Pentothal
view post Posted on 4/11/2009, 12:32





Consiglio la visione di questo film a me è piaciuto molto!!!!!!!!!
di seguito riporto una recensione critica del film che non condivido a pieno, ma è comunque interessanta.


Titolo italiano: La terra dell'abbondanza
Regia: Wim Wenders
Titolo Originale: Land of plenty
Soggetto: Wim Wenders, Scott Derrickson
Sceneggiatura: Wim Wenders, Michael Meredith
Genere: Drammatico - Sociale
Durata: 114 min.
Nazionalità: U.S.A.
Anno: 2004
Produzione: Jake Abraham, Emotion Pictures, In.dig.ent., Reverse Angle International, altri
Distribuzione: Mikado




Un prete, un fascista ed una ciellina
di
Luigi Faragalli

Don't really know who sent me
To raise my voice and say:
May the lights in The Land of Plenty
Shine on the truth some day.


Leonard Cohen è un settantenne di Montreal, un signore con i capelli grigi le cui canzoni sono legate a così tanti film che è difficile tenerne il conto. Caro Diario, Natural Born Killers, Strange Days, I cento passi, tantissimi, più di cinquanta, buon ultimo questo Land of Plenty di Wim Wenders, che da una canzone dell'ultimo album, Ten New Songs, prende titolo, ispirazione e chiusura. Le canzoni, ed il loro intreccio con le immagini, sono fra le cose migliori che il regista ci regala in questa pellicola per il resto poco convincente.
C'è qualcosa che non funziona in questo film, ed è davvero difficile ammetterlo per chi, come me, stima Wenders e gli riconosce abilità sopraffina.
Capita talvolta di sbagliare, capita di farlo finanche nelle fondamenta, gettandole precarie e costruendoci su qualcosa che per forza di cose solido non può proprio essere. Si parte dunque da una infelice scelta degli attori.
Michelle Williams è un'attrice da tv series giovanilistiche, divenuta nota interpretando Jennifer di Dawson's Creek e rimasta, si direbbe, molto legata al personaggio. La sua recitazione è tutta un sorriso, finanche quando versa qualche lacrima lo fa con gli occhioni spalancati al mondo e la solita boccuccia dischiusa, il vezzoso incisivo inferiore appena appena imperfetto non basta a renderla sopportabile. Ci si aspetta che da un momento all'altro allarghi le braccia e si metta a piroettare facendo aprire a ruota una leggera gonnelina a fiori, questo fortunatamente non accade, per un pelo.
A lei la sceneggiatura affida il personaggio della brava fanciulla cristiana, perfettissima, candida, luminosa e sterile come il suo ibook. Buona, buona, buona, buona in modo nauseante, col suo amore a distanza, la sua propensione ad aiutare il prossimo, le sue preghiere notturne, la sua compassione. Il suo dio è un amico a cui chiedere aiuto al risveglio dai brutti sogni.
Non va meglio con John Diehl, vecchia conoscenza dei tempi di Miami Vice rispolverato nella più recente serie poliziesca The Shield. Il suo veterano del Vietnam non aggiunge nulla ai personaggi analoghi fin troppe volte visti al cinema. La solita paranoia, i soliti incubi, la solita vita in qualche modo spezzatasi a quella guerra. Un personaggio scontato e poco indagato, scritto in modo stereotipato e così recitato.
Questi due individui sono il cuore della narrazione che procede seguendo passo passo il loro ritrovarsi, il loro scoprirsi ed il loro accettarsi, in verità per niente problematico. Si direbbe che non ci sia attritto possibile di sorta fra un militarista schizoide paranoico all'inverosimile ed una mammola clarissa votata alla misericordia, sarà l'affetto che esiste fra zio e nipote, chissà.
Nel film c'è spazio per poche altre interpretazioni, giusto qualche battuta in più per un prete di colore e per la sua critica alla società americana, troppo impegnata a bersi le balle propinate dai media per rendersi conto della sterminata miseria che ha dietro l'angolo.

Proprio nel riprendere questa miseria Wenders ritrova in parte il suo talento, quel talento nel produrre immagini di inaudita potenza mostrato ampiamente in Fino alla fine del mondo. Il girato digitale ci restituisce splendidi contrasti fra vette di grattacieli insolitamente avvolte da foschia e quartieri degradati oltre ogni immaginazione, le strade affollate dai disperati e dai loro ricoveri di fortuna.
Uscendo dalla città ci porta poi in un'America cui non siamo abituati, quella di Trona, quella delle case bruciate, dei prefabbricati cadenti e fatiscenti, delle persone senza nemmeno telefono, del cimitero con i cadaveri sepolti nella sabbia del deserto, in tombe segnate da mattoni e stivali vecchi, più una discarica che un camposanto.
In questo inferno di miseria Wenders, pur non risollevando con questo il tenore del film, ci regala una sequenza di arte pura, riuscendo a trovare l'eterea ineffabile bellezza nascosta nel volo danzato da un colibrì.

Per il resto è tutto un imperdonabile ammiccamento, il Million Dollar Hotel che ritorna ogni dieci minuti, i giochetti su verità o dovere come nelle festicciole delle elementari, l'improvviso fervore religioso del regista dipinto bianco su roccia lungo la via, conclusione con enorme scritta in luce candida nel cielo, come solo in un Fantozzi ricordo di aver visto.

Inaccettabili in fine alcune banalità non degne del genio padre del Cielo sopra Berlino, serva da esempio il pessimo e superficiale dialogo su chi esultava quando caddero le torri.

Se Wenders voleva dirci la sua sull'undici settembre dà l'impressione di arrivare decisamente troppo tardi, e di farlo senza poi avere in realtà nulla di rilevante da dire.

 
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