Che la partita di Belgrado tra Serbia e Italia, valida per la qualificazione ai prossimi Campionati Europei, non si sarebbe giocata in un clima rilassato si sapeva, più difficile era immaginare il modo in cui i tifosi di casa avrebbero deciso di esternare la loro inimicizia nei confronti degli azzurri.
Il modo scelto è stato il fischio dell'inno, una delle pratiche più odiose tra le diverse usate per fare contestazione sportiva e, tristemente, una delle più di moda negli ultimi tempi.
Al Marakanà di Belgrado i tifosi sugli spalti erano praticamente tutti serbi, gli italiani erano poco più di un centinaio visto che la FIGC aveva rinunciato al 5% di biglietti riservati di diritto ai tifosi ospiti. Al momento della realizzazione, per altro stonata, dell'Inno di Mameli, tutto lo stadio ha iniziato a fischiare rumorosamente "Fratelli d'Italia". Gesto a dir poco inammissibile, ma ancora più ridicolo sarebbe se l'inno fosse stato eseguito in modo volutamente errato. Il riferimento ai fatti dello scorso anno, quando nella gara di andata a Marassi la tifoseria serba, con una serie di comportamenti pericolosi e violenti, aveva provocato la sconfitta a tavolino degli ospiti per 3-0, era chiaro.
Diverse le reazioni dei giocatori al termine della partita. Se, da un lato, i giocatori italiani, con Buffon in testa, hanno apertamente condannato il gesto degli avversari dicendo che, nonostante l'inimicizia che ci può essere tra due nazionali mancare di rispetto fischiando l'inno è, comunque, inaccettabile, dall'altra parte Kolarov ,pur condannando il fatto, ha sostenuto che la colpa primaria dell'accaduto sia da attribuire ai poliziotti italiani rei, a suo giudizio, di aver tenuto un atteggiamento violento nei confronti dei serbi durante l'incontro di Marassi.
Unico gesto di riconciliazione durante un match caratterizzato da forti tensioni, per buona parte estranee allo sport, il momento in cui Buffon, vedendo Stankovic a terra, ha gettato la palla fuori dal campo suscitando l'applauso degli spettatori.
Eurosport